domenica 31 ottobre 2010

noi sappiamo volare oltre il buio

Piccolo animale notturno. Pipistrellino. È tanto grande la notte.
Gli animali più possenti la temono: chiudono le palpebre insieme con il sole e si addormentano tra le pietre. Gli uomini stolti accendono lampade.
Tu invece sei così piccino. Ali di membrana sottile, pelo bruno tutto scarruffato, orecchie attente e grandi: nessun poeta ti loderà come fa con i gufi, non canteranno le tue ali di stoffa artigianale tenute insieme senza penne. Così piccino, movimento vibrante senza maestà. Però la notte è tutta tua.
La notte è la casa della paura. Luna di ghiaccio e foglie di sangue. Il bosco è percorso da branchi di lupi senza perdono. Falene sbattono le ali che non hanno colore. Gli uomini si svegliano e compiono crimini. Persino i placidi barbagianni sembrano bianchi fantasmi.
Tu solo ridi della notte, pipistrellino. Quell'oscurità tanto più grande di te non ti fa paura. Tu solo, unico poeta fra tutti gli animali, trovi allegria nella luna. Schizzi avanti e indietro senza vedere e senza cadere mai.
Quanta felicità la notte. Non hai bisogno di vedere per sentire che lei c'è e che tu ci sei.
Non hai bisogno della stampella del sole per sentirti caldo caldo fuori e dentro.
Piccolo animale notturno, pipistrellino. Tanto più grande sei tu della notte.

lunedì 18 ottobre 2010

il tempo di guarire

io avevo una collana, sai. era rossa come il sangue e poi c'erano qua e la delle perline nere nere. l'avevo sempre al collo perchè mi ricordava tutto quanto il mio dolore e la mia patologia.
quando sono entrata in comunità mi sono detta: "la toglierò quando sarò guarita".
pensavo che l'avrei tolta alla fine del percorso, quando sarei uscita di lì.
poi un giorno, dopo quattro o cinque mesi dall'inizio del percorso, ero in bagno con un'altra ragazza e la collana si è rotta. si è sganciata la catenella e quella bavetta rosso sangue mi è finita in mano.
-se vuoi si può aggiustare facilissimamente- mi ha detto la mia amica.
-no,no grazie- le ho detto, e ho buttato la collana nel cestino.

forse non è ancora successo. o era già successo allora.

domenica 10 ottobre 2010

ancora

- si, si - mi dice mia sorella, la voce appena lustrata di delusione - sarai pure lì da dieci mesi, ma c'è ancora qualcosa...qualcosa di anormale in come mangi.-
- ma che cosa?- sillabano le mie labbra stupite.
- non te lo so nemmeno dire. ma guarda la Verena, era anoressica anche lei però l'ho vista al McDonald's l'altro giorno! tu invece fai merenda solo e soltanto con le mele e mangi il tonno al naturale anzichè quello all'olio...e capisco che possa piacerti di più, però...non lo so, non so nemmeno come dirlo-

Mi disapprova, quell'adulta bambina, forse dopo tutto questo tempo seguita a disprezzarmi per come mi rapporto con il cibo. ancora.
- a casa non la mangi mai la pasta a pranzo!-
- però mangio carne, verdure, frutta, anche grissini o fagioli o patate-
- si, però la pasta non la mangi-
sono una mattonata nello stomaco questi dialoghi.

non riesco a capire che cosa è ora il cibo per me, che cosa è il corpo.
mangio, non riesco a non mangiare, costante è la paura di avere fame (di avere sempre, sempre fame,come una volta quando tutta la mia giornata era solo cibo). non riuscirei mai a restringere. non riuscirei mai ad eccedere senza farci caso, senza avvertire una tensione, una paura, una leggera colpa.
insomma, tengo me stessa in equilibrio forzato.
a casa mangio, mai di meno, spesso qualcosina di più.
però temo. temo la fame, il bisogno di masticare qualche cosa per placare il nervoso o la noia. temo la restrizione.
temo la Pulce.
non penso più alle calorie nè al mio peso quando mi trovo il piatto davanti. però lo indago e dico:- a noi due!-; lo indago e penso, com'è grasso questo sughetto, è ben tanta questa pasta. questo di per sè non è nemmeno Disturbo. però è qualche cosa che non mi permette ancora di stare completamente a mio agio con il cibo, quando esco dalla comunità. quando mangio qualsiasi cosa nel mio corpo c'è un'involontaria tensione. non faccio nulla e non penso nulla. ma, chi ha più sensibilità lo avverte, sono come un animale che mangia rapido e in allerta, come se da un momento all'altro dovesse giungere qualcuno a togliergli il pasto di bocca.

in comunità è diverso. lì non ho nessun problema.
ma quando arrivo a casa, ecco, scatta la "modalità protezione".
in comunità ci sono giorni che mi guardo e dico:-mica male!-
a casa, lo so che non devo stare più di dieci secondi davanti allo specchio, o l'immagine riflessa, la mia immagine, finirebbe per tramutarsi nella solita figura giunonica che ormai so di non essere.
ma lo stesso non debbo indugiare davanti allo specchio, quando sono a casa, o finirei per crederci. finirei per ritornare agli occhi di mia sorella quell'anoressica tanto disprezzata.

non sono più malata e lo so bene.
ma, la domanda è questa: dalle codine insulse e fastidiose, a volte persino dolorose della malattia, ci sarà un giorno che mi libererò?
o dovrò convivere tutta la vita con il peso scuro di questo mio passato?
tutta la vita giocherellare con le forbici come se fossero niente, e poi, ci colpo, ricordare? e mettere via quelle due lame innocenti con imbarazzo, con vergogna?
per sempre tremerò ogni prima neve ricordando le cose che porta con sé?
per sempre abbasserò lo sguardo e proverò gelosia per gli altri e disamore per me?