sabato 28 maggio 2011

è la voragine in cui si sprofonda una mancanza

L'anoressia è la malattia più bastarda che esiste. Credono che basti convincersi di quanto il cibo è necessario, per guarire? Convincersi che nessuno ti amerà di più o di meno a seconda dei chili sulla bilancia? No, neppur questo è abbastanza. L'anoressia è una malattia che non ha entrata e uscita definite: nessun virus la provoca, e sempre si ignora l'esatto momento in cui comincia; nessuna ricetta la guarisce, nessun tempo è stabilito per la cura. Malattia senza altri sintomi che uno, uno che si tira dietro tutti gli altri. Malattia che si appiccica addosso come una colla e non si stacca, dio santo, nemmeno se ci provi per mesi se ne va via.
L'anoressia è, infine, una malattia che non è nemmeno malattia. Per convenienza espositiva l'ho chiamata e la chiamerò così. Ma non è una malattia di quelle che si subiscono, che si hanno dalla nascita o delle quali si subisce il contagio. Molto peggio: è la voragine in cui si sprofonda una mancanza. Una voragine senza riposo. E chi non l'ha provata forse non potrà mai capirla. Perfino io che l'ho superata smetto di capire, a tratti.
Solo tanto tempo ci vuole. Ben di più di una primavera.

venerdì 13 maggio 2011

vi riporto una favola che mi ha passato la dottoressa che l'anno scorso mi insegnava assertività:


ho sentito dire che la felicità è ESSERE SE STESSI SENZA PAURA. ovverosia: ammettere ciò che siamo e ciò che non siamo, senza quell'alone di paura e di odio che abbiamo sempre avuto intorno.
essere se stessi senza paura, ecco ciò che ci fa re e regine del nostro destino. e se questà è la felicità, tutti i mali che ci sono là fuori nel mondo hanno un'importanza secondaria.
posso essere felice a dispetto loro.
e se sono me stessa senza paura, non ho bisogno di temere gli altri. non ho la necessità di farmi valere alzando la voce o piangendo, se sono intimamente convinta del mio valore.



Un re andava a caccia con il suo cavaliere preferito e con un servitore, quando rimasero separati dal resto del gruppo.
Mandò il servo a cercare l’uscita della foresta. Il servo incontrò un cieco con un bambino, e gli ordinò: “in nome del re, indicami la strada che porta fuori dalla foresta o ti taglio la testa”.
Il cieco gliela indicò e il servo lo seguì.

Dopo un po’ arrivò il cavaliere, mandato allo stesso scopo. Il cavaliere chiese al cieco: “Vi prego, signore, indicatemi la strada per uscire dalla foresta”.
Il cieco gliela indicò e il cavaliere sparì.

Dopo un po’ arriva il re. “Mi sono perduto” disse il re. “Aiutereste questo povero sciocco ad uscire dalla foresta?”
“Certo, vostra maestà” disse il cieco. “Il vostro servo e il vostro cavaliere sono già andati nella direzione giusta”.

Quando il re se ne andò, il bambino chiese al cieco: “Come avete fatto a distinguere il re dagli altri?”
Ed il cieco rispose:
“Solo una persona debole minaccia gli altri, e quindi il primo era un servo. Solo un cavaliere si sarebbe rivolto in tono educato a un contadino, che gli è inferiore. E sono un re poteva assumersi la piena responsabilità per essersi perso”.