raga...ho trovato un lavoro!!! tutta l'estate, venerdì sabato e domenica in una pizzeria al taglio!!!
sono davvero felice...ho cominciato ieri, una giornata di pioggia a doccia e di pienone incredibile...il mio turno è stato davvero una corsa pazza, e dire che ero appena arrivata! il pavimento liscio liscio e bagnato di pioggia, che ha attentato più di una volta alla mia vita e a quella delle bottiglie che portavo, i clienti impazziti e la fila di piatti da lavare che cresceva cresceva...mamma mia :)
oggi invece mi hanno addirittura mandata via perchè non c'era nulla da fare...freddo e pioggia...che giugno, dico io!
la mia capo mi ha messo in mano 35 euro per le cinque ore che avevo fatto, mi è sembrato incredibile che a guadagnarli sono bastata io. l'anno scorso ho lavorato, ma per farmi assumere ho avuto bisogno della raccomandazione di mio padre: ora sento che finalmente QUALCOSA posso farlo anch'io.
non possono togliermi la volontà di dirigere me stessa, non possono.
ieri tutte le mie amiche si sono indignate al posto mio, perchè finito il lavoro sono dovuta tornare a casa subito, e ad un mio tentativo di restare fuori con loro mia madre ha risposto con urli e minacce. sì, erano più arrabbiate di me.
in auto con mia madre, ieri sera, c'era silenzio. ha soffocato tutti i miei tentativi di parlare. così come in fondo, meno volontariamente, ho fatto io oggi. non triste, non arrabbiata, cordiale anzi. ma muta.
sentivo solo il rumore del motore, e quello della pioggia. non potevo darmi il diritto di svagarmi dopo settimane di studio e di comunità: mia madre non me lo permetteva. non potevo scegliere di frenare il motore o di placare la pioggia.
non posso scegliere QUANDO sarà pronto per me l'appartamento che l'assistenza sociale mi sta preparando, per uscire finalmente dalla comunità e cominciare la mia nuova vita senza tornare in questa casa di corde di violino.
molte, troppe cose non posso decidere. così come in comunità non posso andare a fare una passeggiata ogni volta che voglio, o fumare una sigaretta in più, o mangiare un biscotto la sera.
però quei 35 euro li ho guadagnati io, da sola, e sono quantomeno l'esempio di ciò che CIASCUNA DI NOI, PUR REMANDO CONTROVENTO, PUò FARE. mia madre non mi darà i soldi nè per la patente nè per pagare le bollette nella mia nuova casa(nella quale non vuole che vada), ma sono due anni che lavoro d'estate, e - sapete che vi dico?- è quasi meglio se non mi aiuta.
le ferite dell'anima...restart
quando stai dentro ad un tunnel non la vedi l'uscita. lampi, stridii, paura: distruzione e autodistruzione, è lo stesso, tutto perso in quella nebbia gelata che confonde i sensi. ma io so che un'uscita da questo tunnel C'é. ho scritto della mia caduta, ora voglio scrivere della mia ricerca. della mia speranza. benvenuti nel mio blog.
domenica 5 giugno 2011
sabato 28 maggio 2011
è la voragine in cui si sprofonda una mancanza
L'anoressia è la malattia più bastarda che esiste. Credono che basti convincersi di quanto il cibo è necessario, per guarire? Convincersi che nessuno ti amerà di più o di meno a seconda dei chili sulla bilancia? No, neppur questo è abbastanza. L'anoressia è una malattia che non ha entrata e uscita definite: nessun virus la provoca, e sempre si ignora l'esatto momento in cui comincia; nessuna ricetta la guarisce, nessun tempo è stabilito per la cura. Malattia senza altri sintomi che uno, uno che si tira dietro tutti gli altri. Malattia che si appiccica addosso come una colla e non si stacca, dio santo, nemmeno se ci provi per mesi se ne va via.
L'anoressia è, infine, una malattia che non è nemmeno malattia. Per convenienza espositiva l'ho chiamata e la chiamerò così. Ma non è una malattia di quelle che si subiscono, che si hanno dalla nascita o delle quali si subisce il contagio. Molto peggio: è la voragine in cui si sprofonda una mancanza. Una voragine senza riposo. E chi non l'ha provata forse non potrà mai capirla. Perfino io che l'ho superata smetto di capire, a tratti.
Solo tanto tempo ci vuole. Ben di più di una primavera.
L'anoressia è, infine, una malattia che non è nemmeno malattia. Per convenienza espositiva l'ho chiamata e la chiamerò così. Ma non è una malattia di quelle che si subiscono, che si hanno dalla nascita o delle quali si subisce il contagio. Molto peggio: è la voragine in cui si sprofonda una mancanza. Una voragine senza riposo. E chi non l'ha provata forse non potrà mai capirla. Perfino io che l'ho superata smetto di capire, a tratti.
Solo tanto tempo ci vuole. Ben di più di una primavera.
venerdì 13 maggio 2011
vi riporto una favola che mi ha passato la dottoressa che l'anno scorso mi insegnava assertività:
ho sentito dire che la felicità è ESSERE SE STESSI SENZA PAURA. ovverosia: ammettere ciò che siamo e ciò che non siamo, senza quell'alone di paura e di odio che abbiamo sempre avuto intorno.
essere se stessi senza paura, ecco ciò che ci fa re e regine del nostro destino. e se questà è la felicità, tutti i mali che ci sono là fuori nel mondo hanno un'importanza secondaria.
posso essere felice a dispetto loro.
e se sono me stessa senza paura, non ho bisogno di temere gli altri. non ho la necessità di farmi valere alzando la voce o piangendo, se sono intimamente convinta del mio valore.
Un re andava a caccia con il suo cavaliere preferito e con un servitore, quando rimasero separati dal resto del gruppo.
Mandò il servo a cercare l’uscita della foresta. Il servo incontrò un cieco con un bambino, e gli ordinò: “in nome del re, indicami la strada che porta fuori dalla foresta o ti taglio la testa”.
Il cieco gliela indicò e il servo lo seguì.
Dopo un po’ arrivò il cavaliere, mandato allo stesso scopo. Il cavaliere chiese al cieco: “Vi prego, signore, indicatemi la strada per uscire dalla foresta”.
Il cieco gliela indicò e il cavaliere sparì.
Dopo un po’ arriva il re. “Mi sono perduto” disse il re. “Aiutereste questo povero sciocco ad uscire dalla foresta?”
“Certo, vostra maestà” disse il cieco. “Il vostro servo e il vostro cavaliere sono già andati nella direzione giusta”.
Quando il re se ne andò, il bambino chiese al cieco: “Come avete fatto a distinguere il re dagli altri?”
Ed il cieco rispose:
“Solo una persona debole minaccia gli altri, e quindi il primo era un servo. Solo un cavaliere si sarebbe rivolto in tono educato a un contadino, che gli è inferiore. E sono un re poteva assumersi la piena responsabilità per essersi perso”.
ho sentito dire che la felicità è ESSERE SE STESSI SENZA PAURA. ovverosia: ammettere ciò che siamo e ciò che non siamo, senza quell'alone di paura e di odio che abbiamo sempre avuto intorno.
essere se stessi senza paura, ecco ciò che ci fa re e regine del nostro destino. e se questà è la felicità, tutti i mali che ci sono là fuori nel mondo hanno un'importanza secondaria.
posso essere felice a dispetto loro.
e se sono me stessa senza paura, non ho bisogno di temere gli altri. non ho la necessità di farmi valere alzando la voce o piangendo, se sono intimamente convinta del mio valore.
Un re andava a caccia con il suo cavaliere preferito e con un servitore, quando rimasero separati dal resto del gruppo.
Mandò il servo a cercare l’uscita della foresta. Il servo incontrò un cieco con un bambino, e gli ordinò: “in nome del re, indicami la strada che porta fuori dalla foresta o ti taglio la testa”.
Il cieco gliela indicò e il servo lo seguì.
Dopo un po’ arrivò il cavaliere, mandato allo stesso scopo. Il cavaliere chiese al cieco: “Vi prego, signore, indicatemi la strada per uscire dalla foresta”.
Il cieco gliela indicò e il cavaliere sparì.
Dopo un po’ arriva il re. “Mi sono perduto” disse il re. “Aiutereste questo povero sciocco ad uscire dalla foresta?”
“Certo, vostra maestà” disse il cieco. “Il vostro servo e il vostro cavaliere sono già andati nella direzione giusta”.
Quando il re se ne andò, il bambino chiese al cieco: “Come avete fatto a distinguere il re dagli altri?”
Ed il cieco rispose:
“Solo una persona debole minaccia gli altri, e quindi il primo era un servo. Solo un cavaliere si sarebbe rivolto in tono educato a un contadino, che gli è inferiore. E sono un re poteva assumersi la piena responsabilità per essersi perso”.
venerdì 22 aprile 2011
ieri ho proprio alzato i toni con la dietista.
la comunità si sta allargando, ormai siamo dieci ragazze, di cui solo due sono alla fine del percorso, solo due vivono spensieratamente il momento del pasto. rimangono pur sempre quelle otto che guardano nei piatti degli altri, esagerano o restringono, provano fastidio, ritualizzano. l'aceto a tavola va via come acqua, c'è chi usa talmente tanto sale che le fettine di carne, le verdure e la pasta diventano bianche. già da parecchio tempo non viene più portato in tavola il grana, perchè una persona sola riusciva a finirlo in uno o due giorni.
e la dietista, giustamente, dice che bisogna dare un taglio netto a questa situazione.
ma, dio, c'è modo e modo. ho avuto una dietista bravissima che mi ha aiutata immensamente nella prima fase del mio percorso, ma quest'estate è andata in maternità ed è stata assunta una sostituta. sono sicura che la "mia" dietista avrebbe gestito tutto, tutto, in maniera completamente diversa. sentite questa dietista che fa, invece: arriva con la faccia scura, fa il suo annuncio di provvedimenti. ed è una questa che non sai mai se prenderla sul serio o no, le ragazze nuove sono terrorizzate, noi vecchie la guardiamo e ridiamo di certi suoi errori, ingenuità e incomprensioni. Giulia ha cominciato a tremare col ginocchio, intanto. c'è chi prova davvero ansia se solo ci si riferisce al cibo.
poi la cuoca porta dentro il pranzo e la dietista tira fuori due cucchiai e li mette accanto all'oliera. massimo un cucchiaio di aceto e uno d'olio, dall'oliera occorre versarlo nel cucchiaio, dosare e poi versare sulle verdure.
a me non me ne potrebbe fregar di meno, in tutta sincerità, di queste sue misure. ma ho visto la faccia di certe ragazze. ragazze che si portano a casa il piano alimentare e lo eseguono maniacalmente, pesando tutto, dannandosi per tutto. creandosi quasi un disturbo alimentare parallelo, un "disturbo della guarigione". so che il piano alimentare, il controllo e la moderazione sono alleati preziosi all'inizio della guarigione, so che essi verranno comunque superati più avanti per lasciare il posto alla GIOIA DEL NUTRIRSI, o se non altro alla NORMALITà.ma una dietista non dovrebbe essere la prima ad affrontare il problema degli eccessi rinviando a maniere, misurazioni, restrizioni che sono patologiche in sè.
ditemi chi a casa propria o al ristorante si dosa l'olio col cucchiaio!
"ma non vedi come le ragazze ci rimangono male anzichè sentirsi aiutate?" le ho detto "esiste la regola, certo, ma bisogna imparare a regolarsi in maniera umana!".
rimangono pur sempre, da ieri in poi, quegli assurdi cucchiai e cucchiaini in tavola. uno grande per l'aceto, uno piccolo per l'olio. il grana lo mette la cuoca prima di portare in tavola i piatti, sulla pasta di chi lo prende di solito (è facoltativo). vale a dire che quella benedetta ciotolina non la vediamo neanche. e se lo volessi anch'io il grana, una volta per cambiare? sì, dovrei urlarglielo dalla sala prima che faccia le porzioni, per non farla andare e venire troppe volte.
ma che grandissime emerite stronzate. ditemi se un disturbo alimentare si affronta così.
la comunità si sta allargando, ormai siamo dieci ragazze, di cui solo due sono alla fine del percorso, solo due vivono spensieratamente il momento del pasto. rimangono pur sempre quelle otto che guardano nei piatti degli altri, esagerano o restringono, provano fastidio, ritualizzano. l'aceto a tavola va via come acqua, c'è chi usa talmente tanto sale che le fettine di carne, le verdure e la pasta diventano bianche. già da parecchio tempo non viene più portato in tavola il grana, perchè una persona sola riusciva a finirlo in uno o due giorni.
e la dietista, giustamente, dice che bisogna dare un taglio netto a questa situazione.
ma, dio, c'è modo e modo. ho avuto una dietista bravissima che mi ha aiutata immensamente nella prima fase del mio percorso, ma quest'estate è andata in maternità ed è stata assunta una sostituta. sono sicura che la "mia" dietista avrebbe gestito tutto, tutto, in maniera completamente diversa. sentite questa dietista che fa, invece: arriva con la faccia scura, fa il suo annuncio di provvedimenti. ed è una questa che non sai mai se prenderla sul serio o no, le ragazze nuove sono terrorizzate, noi vecchie la guardiamo e ridiamo di certi suoi errori, ingenuità e incomprensioni. Giulia ha cominciato a tremare col ginocchio, intanto. c'è chi prova davvero ansia se solo ci si riferisce al cibo.
poi la cuoca porta dentro il pranzo e la dietista tira fuori due cucchiai e li mette accanto all'oliera. massimo un cucchiaio di aceto e uno d'olio, dall'oliera occorre versarlo nel cucchiaio, dosare e poi versare sulle verdure.
a me non me ne potrebbe fregar di meno, in tutta sincerità, di queste sue misure. ma ho visto la faccia di certe ragazze. ragazze che si portano a casa il piano alimentare e lo eseguono maniacalmente, pesando tutto, dannandosi per tutto. creandosi quasi un disturbo alimentare parallelo, un "disturbo della guarigione". so che il piano alimentare, il controllo e la moderazione sono alleati preziosi all'inizio della guarigione, so che essi verranno comunque superati più avanti per lasciare il posto alla GIOIA DEL NUTRIRSI, o se non altro alla NORMALITà.ma una dietista non dovrebbe essere la prima ad affrontare il problema degli eccessi rinviando a maniere, misurazioni, restrizioni che sono patologiche in sè.
ditemi chi a casa propria o al ristorante si dosa l'olio col cucchiaio!
"ma non vedi come le ragazze ci rimangono male anzichè sentirsi aiutate?" le ho detto "esiste la regola, certo, ma bisogna imparare a regolarsi in maniera umana!".
rimangono pur sempre, da ieri in poi, quegli assurdi cucchiai e cucchiaini in tavola. uno grande per l'aceto, uno piccolo per l'olio. il grana lo mette la cuoca prima di portare in tavola i piatti, sulla pasta di chi lo prende di solito (è facoltativo). vale a dire che quella benedetta ciotolina non la vediamo neanche. e se lo volessi anch'io il grana, una volta per cambiare? sì, dovrei urlarglielo dalla sala prima che faccia le porzioni, per non farla andare e venire troppe volte.
ma che grandissime emerite stronzate. ditemi se un disturbo alimentare si affronta così.
domenica 27 marzo 2011
sabato 19 marzo 2011
mamma dice
mamma dice che ho un egoismo sconfinato.
mamma dice che la mia migliore amica è una troia, che il direttore della comunità è un farabutto, che il ragazzo di cui sono innamorata è un drogato.
dice che le persone della comunità non mi vogliono bene, che per loro sono "carne da macello".
mamma dice che sta male da quattro anni a causa mia. dice che l'ho fatta ammalare. dice che prende psicofarmaci per colpa mia.
dice che non riuscirò mai ad andare a vivere da sola, che sono solo un'illusa e non so niente della vita.
per le spese che mi sono più o meno necessarie, preleva i soldi dalla mia carta postale, i soldi del lavoro estivo dell'anno scorso che metto da parte per la casa. avvisa: te li prelevo sai. non chiede se può.
mamma dice che sono uguale a prima.
dice che mio padre l'ha avvertita: non fidarti di Alessia, dice tante belle paroline e poi te la mette nel culo. dice che è vero, sono proprio così io.
dice che la mia rovina è cominciata il giorno che ho messo piede in comunità.
che cammino sull'orlo di un burrone e ci finirò certamente dentro, con le cattive compagnie che frequento(le cattive compagnie sono queste:un'amica che da quando avevo 8 anni mi sta vicino e mi ascolta e le ragazze che in comunità affrontano con coraggio il percorso di guarigione).
mamma dice che merito solo di finire all'angolo di una strada. anzi, troppo: dice che non merito niente.
io, io col mio egoismo smisurato non troverò mai la felicità.
le chiedo se lei l'ha mai avuta. "no, da quando mi dai tutti questi dispiaceri, da quando a dodici anni gridavi e piangevi, a quindici ti tagliavi, a sedici non mangiavi, a diciassette (guarivi) in comunità".
non ho mai visto mamma felice, a quanto ricordi, e glielo dico. lei risponde che lo sapeva nascondere bene. che con mio papà intorno non lo doveva dimostrare.
sarà.
mamma dice che sono villana, bugiarda. mamma dice che non ha alcuna fiducia in me. che a quanto ne sa potrei anche battere agli angoli delle strade, ormai non si stupisce più. che lei ha sempre cercato di educarmi ma io ho rifiutato.
conclude che io ho rovinato tutto: ho rovinato me, mia sorella, mio padre e lei.
ho rovinato tutto.
sì, è stato a causa mia questo fiume di parole tutte urlate. si è anche avvicinata alla mia borsetta preferita e ha fatto il gesto di tagliarla. ha fatto il gesto di picchiarmi ma si è controllata.
...era scivolato fuori un pacchetto di sigarette da una borsa.
mamma dice che la mia migliore amica è una troia, che il direttore della comunità è un farabutto, che il ragazzo di cui sono innamorata è un drogato.
dice che le persone della comunità non mi vogliono bene, che per loro sono "carne da macello".
mamma dice che sta male da quattro anni a causa mia. dice che l'ho fatta ammalare. dice che prende psicofarmaci per colpa mia.
dice che non riuscirò mai ad andare a vivere da sola, che sono solo un'illusa e non so niente della vita.
per le spese che mi sono più o meno necessarie, preleva i soldi dalla mia carta postale, i soldi del lavoro estivo dell'anno scorso che metto da parte per la casa. avvisa: te li prelevo sai. non chiede se può.
mamma dice che sono uguale a prima.
dice che mio padre l'ha avvertita: non fidarti di Alessia, dice tante belle paroline e poi te la mette nel culo. dice che è vero, sono proprio così io.
dice che la mia rovina è cominciata il giorno che ho messo piede in comunità.
che cammino sull'orlo di un burrone e ci finirò certamente dentro, con le cattive compagnie che frequento(le cattive compagnie sono queste:un'amica che da quando avevo 8 anni mi sta vicino e mi ascolta e le ragazze che in comunità affrontano con coraggio il percorso di guarigione).
mamma dice che merito solo di finire all'angolo di una strada. anzi, troppo: dice che non merito niente.
io, io col mio egoismo smisurato non troverò mai la felicità.
le chiedo se lei l'ha mai avuta. "no, da quando mi dai tutti questi dispiaceri, da quando a dodici anni gridavi e piangevi, a quindici ti tagliavi, a sedici non mangiavi, a diciassette (guarivi) in comunità".
non ho mai visto mamma felice, a quanto ricordi, e glielo dico. lei risponde che lo sapeva nascondere bene. che con mio papà intorno non lo doveva dimostrare.
sarà.
mamma dice che sono villana, bugiarda. mamma dice che non ha alcuna fiducia in me. che a quanto ne sa potrei anche battere agli angoli delle strade, ormai non si stupisce più. che lei ha sempre cercato di educarmi ma io ho rifiutato.
conclude che io ho rovinato tutto: ho rovinato me, mia sorella, mio padre e lei.
ho rovinato tutto.
sì, è stato a causa mia questo fiume di parole tutte urlate. si è anche avvicinata alla mia borsetta preferita e ha fatto il gesto di tagliarla. ha fatto il gesto di picchiarmi ma si è controllata.
...era scivolato fuori un pacchetto di sigarette da una borsa.
Iscriviti a:
Post (Atom)