quando stai dentro ad un tunnel non la vedi l'uscita. lampi, stridii, paura: distruzione e autodistruzione, è lo stesso, tutto perso in quella nebbia gelata che confonde i sensi. ma io so che un'uscita da questo tunnel C'é. ho scritto della mia caduta, ora voglio scrivere della mia ricerca. della mia speranza. benvenuti nel mio blog.
giovedì 29 luglio 2010
siamo tutti PETER PAN
ciao ragazze...vi ringrazio per il sostegno... ora sto meglio...non è tutto passato, ma piano piano sta rifluendo come una marea...come è naturale che sia...
sono troppo stanca per scrivere qualcosa su come mi sento ora, ma ho davvero voglia di farvi leggere queste righe..
è un piccolo racconto che ho scritto qualche mese fa...il tema, anche se può non sembrare così a prima vista, è qualcosa di fondamentale rispetto a ciò che convivendo con un DCA, con l'autolesionismo e la depressione dobbiamo affrontare tutte, ogni giorno...
la paura di uscire dalla protezione che potrebbe dare così facilmente un corpo di bambina, un'isola distante persa oltre le stelle...tutte noi siamo un po' Peter Pan...
se reggete alla noia (: fino alla fine, vorrei anche farvi una domanda...dei due personaggi che si trovano alla fine, CHI VI SENTITE VOI?
vi chiedo questo perchè il mio psichiatra l'ha letto e mi ha fatto capire chi sono io dei due...
il neonato che vuole parlare da adulto...
vestiti troppo grandi per chi non li può portare, e penne per chi non sa scrivere...
Quel mattino Peter Pan si svegliò stanco. Aveva sognato per tutta la notte di duellare con un Capitan Uncino più agguerrito che mai, mentre lui era stranamente goffo e grave, con le gambe forti come pietre ma senza l'agilità consueta, le braccia robuste ma impossibili da muovere perché non più sue, ed una tale preoccupante pesantezza che gli impediva di volare.
Aveva il respiro affannato come dopo una lunga corsa, la fronte ancora tirata a lucido da un velo di sudore. I suoi occhi presero a vagare nella luce soffusa e nel tepore familiare della propria camera, indugiando a lungo su ogni particolare del muro, su ogni crepa ed ogni macchia di colore che lo ricopriva, sul lettino scintillante di Trilly, sulla piuma dai colori dell'arcobaleno che aveva sottratto ad Uncino qualche dozzina di battaglie prima, e che si diceva provenisse dal regno degli elfi immortali, miglia e miglia oltre l'Oceano Verde. Fluttuava lieve a qualche palmo dal soffitto, muovendosi al refolo di un vento invisibile. Peter la guardò, e quella piuma fu per lui come un calmante.
Pareva tutto così uguale agli altri giorni, così normale.
Ma, non appena tentò di alzarsi dal letto, si rese subito conto che qualcosa non quadrava. Che diamine avevano le sue gambe? Così goffe che parevano legate?
Gettò loro uno sguardo e vide, sgomento, che queste sporgevano ben oltre le coperte, superando di almeno mezzo metro il bordo del letto.
Si alzò faticosamente e tentò invano di infilarsi una tutina verde ormai troppo stretta. Pareva un vestitino per le bambole, così inanimata e vuota nella sua mano. Un tremito di paura lo scosse.
- Trilli, Trilli!- gridò, e si stupì del suono della propria voce, così profonda e roca, grave come il fiato possente di un organo di chiesa. Non era quella di sempre. Ma che cosa gli stava accadendo? Sentiva la gola piena di pietre. Tentava di mandarle giù, ma quelle si ingrossavano fino ad impedirgli di respirare.
Aria, aria. Aveva bisogno di aria. Un po' di aria fresca gli avrebbe snebbiato il cervello e l'avrebbe risvegliato da quel brutto sogno.
Uscì di casa, scivolando con i piedi nudi sul prato umido di rugiada. Il temporale della notte aveva generato una piccola pozzanghera limpida, che tremava leggermente sotto il sole. Peter vi gettò lo sguardo per caso, e la trovò invasa, in corrispondenza del suo volto riflesso, da una sorta di ombra scura.
Si mise in ginocchio ed avvicinò il volto per guardare meglio.
Il suo mento era ricoperto da una selva di corti ed ispidi peli neri, che a Peter comunicarono un immediato senso di sporcizia e di squallore, ed accesero un campanello d'allarme nella sua testa. Avvicinò ancora il volto a quel sottile velo d'acqua, quasi sperasse di poterci affogare dentro, e rimase lungamente a considerare la barba, il pomo d'Adamo che gli si andava ingrossando, gli stessi lineamenti del volto che erano cambiati, laddove le guance fino a ieri decisamente più paffute avevano lasciato sporgere gli zigomi, e nessun segno restava delle efelidi che punteggiavano il suo viso, come se queste fossero il prodotto di leggeri tratti di matita che la gomma di una notte era bastata a lavar via.
Indugiò ancora qualche secondo e poi, improvvisamente colto da spavento, scattò in piedi e corse via nel profondo della foresta, così nudo come si trovava.
Non c'era Trilli accanto a lui, né i bambini smarriti. Se n'erano andati tutti a fare chissà cosa, a pescare rane nello stagno o a nuotare imitando i delfini. Peter stavolta era solo con le sue lacrime che, quando il vento della corsa non gliele asciugava sul viso, cadevano per terra e facevano appassire le viole.
Nessuno, sull'Isola Che Non C'è, aveva mai pianto.
Quando non ebbe più la forza di correre crollò semplicemente a terra con la testa tra le mani.
Era cresciuto. Così, senza rendersene conto, senza volerlo. Tutto quel tempo che aveva tanto artificiosamente tenuto a bada per anni e secoli ora montava come un fiume in piena costretto da una diga, e scalpitava e premeva ed infine l'aveva vinta.
La sua diga si era rotta, ed il Tempo gli aveva impresso il suo sigillo bruciante sulla pelle.
Peter non aveva mai temuto nulla, che ricordasse. Mai la sua fiducia in se stesso e la sua scanzonata allegria erano venute meno. Ora, però, aveva paura.
Quando si fece notte non si era spostato di un centimetro. Ed era ancora lì quando, la mattina seguente, il sole salì ad illuminare il suo corpo tremante ed intriso di rugiada come un filo d'erba.
Fu un sussulto insolito tra i cespugli che lo fece alzare. Decise di controllare cosa fosse. Cautamente, scostò i rami di una rosa selvatica e vi sbirciò attraverso.
Dietro c'era un neonato infagottato nella camicia di un uomo adulto, con un dito ficcato in bocca e un mazzo di chiavi gettato nell'erba appresso a lui, insieme ad un paio di occhiali, un notes e una penna.
Si guardarono negli occhi. Il neonato reclinò la testa di lato, senza sfilarsi il dito di bocca.
- Vedi com'è buffo?- esclamò Peter – tu hai una camicia da adulto che non ti potrai mai portare in giro decentemente, mentre io, che sono un uomo, sono qui nudo come un neonato-.
E ancora: - il tempo mi ha giocato un brutto scherzo, caro bambino. Vorrei tanto essere al tuo posto, sai...-
- Ed io al tuo – rispose il neonato. Parlava con la voce di un uomo fatto. Peter rabbrividì fin nel midollo. - Ma dobbiamo andarcene tutti, prima o poi, dall'Isola Che Non C'è. Deve giusto arrivare la mongolfiera che ci porterà via. Perché viene,prima o poi, il momento in cui dobbiamo renderci presenti a noi stessi, e stringere i denti, perché è il momento in cui tutto ciò che pensavamo di avere ci viene tolto, e bisogna pur ringraziare e passar oltre-.
Peter Pan alzò gli occhi al cielo. Un'enorme mongolfiera blu cobalto stava atterrando silenziosa.
Ecco, vedi, disse tra sé, vedi, lo dicevo io che essere bambini non è sempre bello come sembra, ma crescere è pure una gran seccatura.
mercoledì 28 luglio 2010
ora le butto tutte fuori, e mi bagnano la faccia, la faccia intera, la bagnano come un sasso su cui il torrente pietoso stende il suo velo lucido e trasparente.
piango e non so se spero.
non so se spero che un giorno non piangerò più.
forse lo voglio ancora.
forse è questo, questo di cui ho bisogno.
piangere e scrivere.
mi sono caricata sulle spalle macigni giganteschi, travi possenti sopra a un corpo non più fragile, a un'anima fragile come e più di prima.
macigni, montagne.
ma ho ancora bisogno di una carezza.
ho ancora bisogno di riempirmi la giornata di cose e ritrovarmi a sera avida di coccole.
forse questo pianto mi insegna qualche cosa.
dovrei smettere di fracassarmi la schiena a sollevare montasgne.
devo smettere di pretendere che non piangerò mai più, che non mi sentirò grassa mai più, che non desidererò una cicca un pianto e un abbraccio mai più.
lunedì 26 luglio 2010
tristezza
non ti voglio.
smettila, smettila, smettila di farmi male.
perchè tu sei come un aeroplano e io sono il tuo porto. e tu te ne vai lunghe ore, ma poi finisci sempre per tornare.
martedì 20 luglio 2010
gang pro ana
pensavo a quella ragazza stecca che mi dorme accanto. al suo contare le forchettate di pasta(come mi è venuta in odio la parola "forchettata", quasi quanto "caloria"). pensavo alla manopola della doccia voltata in basso sopra al bollino blu dell'acqua fredda. e ai ragazzi del bronx che si riuniscono in gang, governate da severe precise leggi.
i ragazzi delle gang devono sopportare prove durissime per entrarci. fatica fisica. umiliazione. insicurezza, paura. dolore.
i ragazzi delle gang vogliono sentirsi guerrieri in nome di un'identità comune che da sicurezza. ma non sono guerrieri. e piano piano la loro identità sparisce.
questo secondo me è perfettamente accostabile al fenomeno pro ana: nè più nè meno che una gang.
"sono solo i forti che non mangiano", "il mondo è duro, noi saremo dure", "questo mondo non è per i deboli: se non siete forti, se non siete drastiche, via di corsa", "tu vali la tua taglia"....un'anoressica arriverebbe forse a dirlo di se stessa, mai si sognerebbe di imporre questa visione agli altri. una pro ana lo fa costantemente.
è molto diversa una "pro ana" da un'anoressica. portatrici di un'identica sofferenza, ma inconfondibili tra loro. le anoressiche applicano una ristrettezza e una violenza contro se stesse che sono allucinanti, e si fanno scudo di queste sofferenze. non si interessano ad altri che a se stesse nell'applicare la loro aggressività. le pro ana estendono tutto questo anche agli altri. dilatano lo spazio, creano reti invisibili e i fili che le reggono sono insicurezza e dolore.
le anoressiche precipitano da sole, le pro ana cadono e travolgono tutto il palco che sta loro intorno.
pesavo 58 chili, io, e quelle sue parole perforarono lo schermo e mi squarciarono il cuore.
gang pro ana.
forse ora quella ragazza mi rispetterebbe un po' di più. sono io che non l'ho mai rispettata. le avrei sputato negli occhi, quella sera. oggi lo farei due volte.
se una ragazza è anoressica non le è difficile digiunare. ben più difficile è imporsi di farlo controvoglia. dev'essere veramente durissima imporsi qualcosa del genere. e poi, io non sarei mai riuscita a farmi una doccia gelata "per bruciare calorie". è assurdo, è spaventoso. semplicemente spaventoso, incitare a questo qualcuno che si sta uccidendo pian piano per la denutrizione e che comincia a sentirsi il freddo nelle ossa.
gang pro ana.
sa tanto di punizione. di rito tribale per entrare in un gruppo.
pro ana che mangiano 300 calorie al giorno, ma non di insalata, 300 calorie di cioccolatini. mi si stringe il cuore a sentire queste cose. mi si stringe il cuore più che a sentire di una che mangia solo mele. non so bene perchè.questo diverso tipo di sofferenza mi spaventa.
quando la gang diventa ragione-religione di vita. filosofia che riassume in sè l'essenza stessa della vita.
"questo è un blog pro ana, se non siete d'accordo abbandonatelo immediatamente": eccoci finalmente allo stadio finale della formazione di una gang: la demonizzazione del diverso. la distruzione psicologica di chi non appartiene al gruppo. assoluta, inflessibile, inappellabile severità.
chissà che cosa direi oggi a quella ragazza se la incontrassi in internet. probabilmente mi limiterei a cliccare la grande X rossa a destra dello schermo.
non piangerò mai più per colpa sua.
domenica 18 luglio 2010
Cara Mari, tu che mi hai scritto anche via mail, era proprio per te il premio :)
riguardo all'altro blog che non si può commentare...in realtà questo è un blog "esportato" dall'altro che sarebbe stato quello vero, perchè verso ottobre è sorto un problema proprio con i commenti che non sono riuscita a risolvere, e quindi sono stata costretta ad esportare...
giovedì 15 luglio 2010
non per una taglia
sii una saggina nella valle
ma sii la migliore piccola saggina
sulla sponda del ruscello.
se non puoi essere un albero
sii un cespuglio.
se non puoi essere una via maestra
sii un sentiero.
se non puoi essere il sole
sii una stella.
non per una taglia vincerai o perderai,
sii il meglio di qualunque cosa sei."
ieri Debora mi ha detto che si ricorda il giorno che sono arrivata in comunità.
come dimenticarlo.
"tutte e due prese con le bombe".
ero assolutamente convinta che una taglia mi avrebbe fatta vincere o perdere. perchè era così, in fondo: al centro mi avrebbero aiutata veramente solo se fossi scesa al di sotto di un certo peso. sennò non ci sarei mai arrivata, in comunità.
c'è tanta gente, anche non alle prese con un DCA, che crede che sia UNA TAGLIA a fare la differenza.
c'è tanta gente che non si ammala eppure non ha capito un cazzo.
è Martin Luther King che ha ragione, però. se stessi ad ascoltare le persone fuori...che, ora che peso 44,5 kg e sono ancora leggermente sottopeso, dicono che non sono per niente magra... se stessi ad ascoltare loro, cui non basta mai!
no, io lo so che non avrò mai una pancia bella e proporzionata, nè che imparerò a ballare o che tutti mi ammireranno. ma volgio essere la migliore piccola saggina sul fiume.
non sarò mai brava nei lavori manuali, nè a dipingere o a danzare o a suonare uno strumento. una volta ci soffrivo. pretendevo di guadagnarmi una taglia in tutto.
ma ora voglio solo tenermi i miei difetti e non farmene sopraffare.
essere un sassolino nella strada orgoglioso però di esserlo.
non per una taglia vincerò o perderò.
mercoledì 14 luglio 2010
PREMIO DARDOS
mi ha fatto moltissimo piacere, cara Alice, che tu mi abbia pensata per questo premio, dedicato ai blog che dimostrino "impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali".
non mi sembra in fondo di aver fatto nulla per meritarlo, ma lo accetto con gioia come se fosse un "buon proposito" per quello che vorrei fosse il mio blog.
certo è che è un pezzo importante di me stessa, un luogo virtuale in cui ho vissuto un periodo intensissimo della mia esistenza. cos'è un blog, si potrebbe dire. è in realtà grazie ad esso, ma soprattutto a voi (non sarebbe servito a nulla il mio blog senza di voi), che sto scoprendo pieghe nascoste della mia anima, diversi modi di intendere il profondo miracolo della vita, tutti giusti, alcuni distorti, nessuno veramente sbagliato.
grazie a questo blog ho aiutato me stessa. non pretendo di aiutare gli altri. ma mi sono salvata, perchè qualcuno cui ero molto vicina l'ha trovato e mi ha sostenuta in un momento in cui credevo di morire.
tutte le parole che si gettano nel vento ritornano. tutte le goccie gettate nel mare le beviamo come acqua di sorgente.
per cui giro con piacere questo premio a delle bloggers che, più o meno silenziosamente, seguo e stimo.
persone con un cuore così grande che lo sanno dilatare persino allo spazio inconsistente di internet. un cuore enorme che riempie di se stesso anche ciò che non ha corpo.
grazie a tutte, ragazze! e ricordatevi che per ritirare il premio dovete a vostra volta assegnarlo ad altri 15 blog che ritenete meritevoli.
un grazie immenso ad Alice ed a tutte voi.
giro il premio a :
Musidora
Kiara
.fighter.
Martita
edward scissorhands
vale84
alice ***
Martina
Veggie
Mari
Lovetobebones
...e le altre a seguire :)
lunedì 12 luglio 2010
sono un fiammifero
se mi parlano, rimango stupita del suono delle mie e delle loro parole.
se sbaglio, è l'ennesima volta.
se non sbaglio, ci sarà un'altro sbaglio.
se sono felice, mi permetto di sentire la mia vena di malinconia.
se il mondo mi si presenta davanti, lo affronto con gioioso pessimismo.
la mia amica mi acceca col suo meraviglioso ottimismo.
sono un fiammifero.
venerdì 9 luglio 2010
giovedì 8 luglio 2010
c'è una ragazza nuova
in comunità è arrivata una ragazza nuova. magrissima, da fare impressione. ovviamente, non mangia nulla. uno joghurt a pranzo e uno a cena. ci guardava dal capo estremo del tavolo con due occhi indagatori mentre mangiavamo. mi si stringe lo stomaco a pensare che una volta anche io ero così.
per la prima volta da tanto tempo devo confrontarmi con una magrezza del genere. per la prima volta, non riesco a trovarla bella. mi ispira solo un'istintiva paura.
parla tanto, ma solo di cibo. seguita a ripetere che pesa 38 chili e che è
malata da 5 anni. e poi che vorrebbe mangiare ma non riesce. e poi centinaia di altre parole simili. cibo, dimagrire, peso. ancora e ancora.
E non ho mai visto degli occhi vuoti in quel modo. di sguardi disperati ne ho visti tanti, mal suo non è disperato. non è triste. ha gli occhi di una bambola. sembrano una cortina che sta lì sola e fragile a coprire il niente.
mi hanno spostata di camera e mi hanno messa da sola con lei. da un
lato questo mi rende orgogliosa, perchè le nuove vengono messe solo
con chi si è dimostrato avanti nel percorso, o per lo meno capace di reggere al peso dei primi giorni...però così facendo mi
hanno tolto da due mie amiche carissime, una delle quali è in camera con me da sempre, dal primo giorno...ci siamo viste entrambe cambiare e siamo diventate come sorelle...la
sera, chiaccheravamo, ci facevamo i "grattini", scherzavamo e discutevamo
fino a tardi...
e ora...ora sono stata messa in compagnia di questa ragazza così simile alla me di prima, altrettanto lontana, anni luce, dal mondo.
mi mette un po' a disagio. non ci crede che sono ancora lievemente sottopeso.
ieri sera mi continuava insistentemente a chiedere qual'è stato il mio peso minimo.
io le ripetevo che queste cose non sono importanti, che ciò che conta di più che
io sia qui, che lei sia qui. come persone e non come patologie. alla fine ho ceduto e le ho detto il mio peso minimo: 40 e lei ha risposto
che in effetti non era un peso basso. che desolazione ho sentito, alora. come se
davanti a lei non avessi più il diritto di dire: Ho sofferto. come se non fossi mai
stata "abbastanza anoressica".
credevo di averle messe via, certe cose. ma ho paura che con lei ritornino.
io la capisco e la voglio aiutare. ma l'istinto mi dice di tenerla lontana.
mangio, lavoro, rido e passo oltre. ma ci sono i suoi occhi illusori dall'altra parte del tavolo. i suoi occhi, antico ingannatore sortilegio.
lunedì 5 luglio 2010
energia?
stanca. perchè lavoro e dormo poco e mi muovo sempre.
serena, perchè sono stanca per un motivo che non è la denutrizione.
c'è qualcosa nell'aria che è come un coktail di energia.
è l'energia dell'universo.
le nostre menti sono come le periferiche di questo enorme server comune ch'è il mondo. tutto collegato. tutto condivisibile, esprimibile, stampabile, taggabile: non siamo soli come gli atomi che cadono nel vuoto.
domenica 4 luglio 2010
felice
cali d'umore, soprattutto la sera, scrosci insensati di pianto, angoscia talvolta.
eppure: continuo ad essere felice.
così, felice. venerdì sono andata a una festa e la Pulce diceva non ballare, sembrerai una cretina.
non abbracciare quella persona, non ridere, e togliti quel sorriso ebete dalla faccia, oh, quanto sei scema.
semplicemente l'ho lasciata a sgolarsi a vuoto. ed ho passato una serata così bella come mai ne avevo passate da....anzi. forse di così belle non ne avevo passate mai.
e girare, girare per le strade o sedermi dopo cena sulla rugosa panchina di legno del cortile della comunità a prendere il fresco, sentendomi semplicemente felice, senz'altre parole di contorno...
credevo che fosse merito tutto delle mie famose goccie della felicità. semplicemente faccio fatica a reggere l'idea di stare bene(per questo gli scoppi di pianto).
e invece, lo sto scalando e scopro giorno per giorno che impegnandomi posso essere felice anch'io.
felice, senza compromessi.
felice anche con le lacrime. anche con il sonno. felice. punto.