é un giorno di pioggia, e mio nonno lotta per vivere, e io per lasciarmi vivere.
mio nonno sta male e potrebbe morire, e l'ultima volta che l'ho visto prima che i suoi occhi si obliassero (stasi vegetativa, semi-vegetativa o morte, è lo stesso in fondo), le ultime parole che ci siamo detti io stavo male e lui piangeva.
e adesso, al lavoro, guardo fuori dalla finestra e mi sento il cuore pesante e leggero insieme che fluttua dolorante all'altezza del collo, e non faccio nulla.
vorrei lavorare ma non riesco. vorrei andare via ma non riesco.
la notizia me l'ha data al telefono mia madre, e la testa si è spenta ed ha vagato senza ridere o piangere per un bel mucchio di ore.
ero al lavoro. sono tornata in comunità e ho ricevuto una telefonata di valerio, e abbracci, comprensione. ancora una volta, compassione.
sono tornata stanca e bagnata di pioggia e mi si è fatta incontro Elisabetta. quant'era che non la vedevo...l'ho abbracciata, avrei voluto essere più felice, però. andrà via domani, si meritava che io fossi più felice per festeggiare il suo ritorno.
e invece sto qui e non riesco a capacitarmi di nulla.
vorrei stare più male. forse questo smarrimento è solo uno scudo che mi separa dalla sofferenza più acuta e triste.
c'è sempre stato, mio nonno. sempre. non può essere diverso. non può esserci in un modo diverso. non riesco a pensarlo che così, in campagna, o sul divano a guardare il calcio con le cuffie nelle orecchie, o la domenica a capotavola a mangiare la polenta. mio nonno. non avrei mai pensato che potesse succedergli qualcosa di serio. non a lui, così pacato e immobile come quell'albero grande sul ponte di Villa che si lascia scivolare addosso anni e decenni, senza ch'essi mai gli torcano una foglia.
ha avuto un ictus ed è caduto dalla moto, sbattendo la testa.
- mangia- ho detto a mia sorella al telefono - dai, mangia-, e mi sentivo incredibilmente distante.
coraggio, nonno. adesso abbiamo da lottare insieme.
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